Leonardo Chiariglione: “Mpeg è finito, adesso c’è Mpai”

Leonardo Chiariglione

Ingegnere al Politecnico di Torino e PhD all’Università di Tokyo, Leonardo Chiariglione è stato l’ispiratore e il fondatore di Mpeg, il gruppo di standardizzazione che hanno plasmato la tecnologia e il business dei media digitali. A oltre tre decenni da quegli anni “eroici”, Chiariglione ha rilanciato la sfida con Mpai, organismo di standard per la codifica di dati con intelligenza artificiale. Pepite lo ha intervistato in occasione delle due conferenze per la community tecnica di STMicroelectronics.

 

 

Dottore, professore, scienziato, inventore, ingegnere e tanto altro ancora: di cosa parlerà alla Technical community di STMicroelectronics?

Nella mia vita mi sono occupato di standard, prima di telecomunicazioni perché lavoravo per il centro di ricerca Cselt, dopo di standard multimediali con il gruppo Mpeg, che ho contribuito a fondare nel 1988. Oggi guardo ancora alle standardizzazioni, con un occhio particolare all’intelligenza artificiale e ai dati. Parlerò di questi due grandi filoni di ricerca.

Con Mpeg andiamo parecchio indietro nel tempo, ma è una cosa che riguarda tutti noi, ancora oggi.

Mp3 è un nome noto a tutti, la televisione digitale è in ogni casa, lo streaming di audio-video su Internet è pratica diffusa e la condivisione di contenuti multimediali è alla base dell’utilizzo degli smartphone: queste sono alcune delle cose che il gruppo Mpeg ha sviluppato.

Si farebbe prima a dire cosa non avete standardizzato.

Le do un numero: nel 2018 il valore dei prodotti e dei servizi che avevano gli standard Mpeg come fattore abilitanti, cioè che senza di essi non sarebbero esistiti, è stato di 1,5 triliardi di dollari. Il 2% del GDP mondiale.

Numeri impressionanti. Ma come possiamo spiegare a un profano che cosa si intende per Mpeg e le sue standardizzazioni Mpeg-1, Mpeg-2 e così via ?

Per un utilizzatore cambia poco. Ma è come dire che prima avevo una moto di cilindrata 500, poi sono passato a una 600 e poi a una da 1000. Sempre standard sono, e riguardano sempre comunicazione audio-visiva, solo che si tratta di formati più potenti ed efficaci.

Ma perché nel 1988, assieme ad altri, vi siete decisi a formare il comitato Mpeg per le standardizzazioni? Da cosa è nata l’esigenza?

È stata la mia passione. Ho sempre sofferto il fatto che gli standard televisivi fossero stati definiti con lo scopo di renderli non interoperabili. Un programma televisivo in Italia non poteva essere ricevuto in Francia perché gli standard erano diversi, men che meno una cassetta americana si sarebbe potuta vedere su un televisore italiano dotato di videoregistratore. . Ogni paese aveva il suo standard. In Brasile c’era Ntsc americano ma il colore era Pal, ad esempio. Tutto era fatto apposta perché le cose non potessero interoperare.

Era uno stato di caos progettato a tavolino?

Lo scopo non era creare confusione ma impedire la comunicazione, il che è anche peggio. Il “crimine” di cui accuso i nostri progenitori è questo. Se si prendono le raccomandazioni dell’International Telecommunication Union, si vede che ci sono decine di tabelle in cui uno Stato, faccio l’esempio del Kuwait, diceva di utilizzare un certo standard, riservandosi però il diritto di cambiare la tolleranza alla frequenza. Tutto per non far vedere in Kuwait i programmi televisivi dell’Iraq.

E da qui l’impulso a permettere una maggiore interoperabilità fra i mezzi di comunicazione.

Questo era quanto accaduto con i media analogici, i mezzi digitali stavano ormai maturando. Mi sono detto: questa è l’occasione di mettere ordine. E lo abbiamo messo. Oggi diamo per scontato che se clicchiamo un’icona parta un video. Ma allora non era così. All’inizio neanche c’erano le icone, a dire il vero, ma in generale si riceveva un warning che ci avvisava come il formato non potesse essere letto.

Quali sono state le condizioni strutturali che hanno favorito il prosperare di Mpeg?

Siamo riusciti a far contenti allo stesso tempo i produttori di servizi permettendogli di raggiungere un mercato globale, i consumatori che hanno così avuto accesso ai prodotti di quel mercato e i detentori di brevetti che hanno beneficiato delle royalties.

E come?

Gli standard sono innovazione. L’innovazione non avviene quasi mai perché ci sono dei mecenati che innovano e donano. Nella maggioranza dei casi c’è qualcuno che ha un’idea, la brevetta e intende sfruttarla. Noi abbiamo messo nei nostri standard le migliori tecnologie, le più utili, indipendentemente che avessero un brevetto o meno. Molte lo avevano e nei nostri standard c’erano tanti brevetti. Ma siccome si vendevano molto facilmente è chiaro che chi aveva dei brevetti ha goduto di ricche royalties.

E invece Mpeg cosa ha incassato?

Niente, assolutamente niente. Nel nostro gruppo di esperti, è vero, c’erano molte persone che lavoravano per aziende che avevano tutto l’interesse a far in modo che i loro brevetti entrassero negli standard. Ma non c’era nessun favoritismo o nessun discorso orientato a far passare le invenzioni di amici all’interno delle standardizzazioni.

Andavate sempre d’amore e d’accordo allora?

No, direi proprio di no. Ci sono state delle battaglie epiche per scegliere tra la tecnologia A e la tecnologia B. Ma la decisione era presa sempre sulla base delle performance, dell’affidabilità e dell’efficacia.

“Even the stars die” è il titolo del suo ultimo libro. Ma chi è morto?

E’ morto Mpeg perché la macchina che le ho descritto ha funzionato molto bene nei primi 10 anni, nei secondi 10 così così, negli ultimi 10 si è inceppata. Per il penultimo standard di compressione video che abbiamo realizzato, nel 2013, i detentori dei brevetti erano circa 45.  Come fa un cliente a parlare a 15 uffici brevetti differenti, andare cioè da ognuno di essi a negoziare i termini di licenza singolarmente. Sono franco, lo trovo impossibile.

Siamo tornati agli anni Ottanta quando tutto era frazionato?

No, è diverso. All’inizio Mpeg ha funzionato bene perché chi aveva i brevetti era interessato a che gli standard fossero utilizzati. Nell’ultimo decennio la percentuale di utilizzatori degli standard è calata sotto il 10%. Questo perché chi ha i brevetti controlla lo standard ma non ha interesse ad usarlo. La gestione del brevetto non è più finalizzata a un prodotto, ma alla gestione di un portafoglio brevetti che risponde a logiche che non hanno nulla a che vedere coi prodotti. E così Mpeg, invece di essere un veicolo di innovazione, è diventato un ostacolo all’utilizzo della tecnologia. Non per colpa sua, sia chiaro.

E qui allora veniamo al futuro. Nella sua seconda conferenza per ST parlerà di Mpai, che sta per Moving Picture, Audio and Data Coding by Artificial Intelligence.

Si tratta dell’opportunità di creare un gruppo di standardizzazione che non sia più limitato dalle regole del Fair, Reasonable and Not-Discriminatory che secondo me sono fumose, poco chiare e alla base di molti problemi di Mpeg. In Mpai, muovendosi ovviamente in un quadro legale ben preciso,  quando si sviluppa uno standard viene esplicitato molto chiaramente quale sia il modello di business alla base dello sfruttamento dei diritti dello standard.

E poi, oltre ai brevetti, la novità di Mpai è che non guarda più solo all’audio-video.

Sì, c’è la necessità di standard per la compressione, il trattamento e l’estrazione dei big-data tramite intelligenza artificiale. Continueremo con il trattamento di audio-video, ma il grosso della nostra attività sarà sulla compressione e, soprattutto, la comprensione dei dati.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *